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Un regno come gli altri nella storia del Mediterraneo ellenistico. Bologna, 4-6 aprile 2024

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EpiDoc Workshop Bologna 2016

Bologna, 12-14 settembre 2016

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TOUT VENDRE, TOUT ACHETER 16-19 juin 2009

Gio 24 Settembre 2009

 Colloquio Internazionale ad Atene sull'organizzazione dei mercati nel mondo greco - resoconto di Gianluca Casa e Cristina Carusi

 Il colloquio internazionale “Tout vender, tout acheter” si inquadra nelle iniziative del gruppo di ricerca internazionale (GDRI – CNRS) “Les marchés dans le monde antique: espaces, pratiques, institutions”, al quale aderiscono, oltre alla stessa École française d’Athènes, varie università, tra le quali Bordeaux III, Liverpool, Parma e Toronto. L’obiettivo del gruppo di ricerca è quello di approfondire lo studio delle fonti, sia scritte che materiali, relative all’organizzazione dei mercati antichi, al fine di meglio comprendere la natura degli scambi nell’antichità. Facendo seguito a due precedenti incontri, dedicati rispettivamente al tema “Institutions des marchés. Agoranomes et édiles” (Bordeaux 19-21 giugno 2007, Paris 24 novembre 2007) e al tema “Les marchés de la céramique dans le monde grec” (Bruxelles 19-21 giugno 2008), il colloquio di Atene ha inteso mettere l’accento sulla documentazione archeologica, per giungere, attraverso la presentazione di casi di studio o di interventi di sintesi, ad una visione più precisa dell’organizzazione materiale dei mercati, dalla delimitazione dello spazio e dalle infrastrutture architettoniche sino agli arredi ed alle attrezzature legati allo svolgimento dei commerci.
Il colloquio è stato inaugurato da una tavola rotonda di argomento più generale, nella quale un gruppo di studiosi di storia economica di diversa estrazione (Alain Bresson, Olivier Feiertag, Steven L. Kaplan, J. Maucourant) si è interrogato sul ruolo del mercato nelle attività e nelle istituzioni delle società dall’antichità sino all’epoca contemporanea, con l’occhio rivolto più alla crisi ed ai problemi odierni che all’apporto del passato alla riflessione attuale.

Nel primo intervento Alain Bresson ha inteso offrire elementi di riflessione per un’ontologia del mercato antico, partendo dalle prospettive dei Greci stessi (particolarmente la teorizzazione platonica per la divisione del lavoro e il legame tra le genesi della moneta e dell’agora). Riprendendo temi polanyiani, ha indicato la sostanziale e nota differenza tra i mercati greci e quelli vicino-orientali, ossia il meccanismo di redistribuzione, il quale sustanzia l’economia vicino-orientale senza essere assente da quella greca (e.g. la dekate di Pisistrato). In questo orizzonte monetizzato e parzialmente redistributivo Bresson ha collocato la struttura dei commerci a lunga distanza, caratterizzata dalla specializzazione, variabile nel tempo, dei mercati internazionali: da questi, in età classica, la città di Atene, ad esempio, dipendeva per i ¾ dei consumi stimati. Le piazze di scambio non mostrano tuttavia, secondo lo studioso, caratteri di capitalismo, regolate come sono dal gran numero di interventi pubblici, ivi compresi monopoli e monopsoni, oggetto di riflessione per il tema della regolazione delle produzioni e dei traffici interregionali.
Ancora in prospettiva ontologica, l’intervento di Steven L. Kaplan si è concentrato sulla nozione di ‘mercato’: una volta destrutturata l’idea di mercato come categoria ‘fondazionale’ e ribadita la necessità di storicizzarlo, ha sostenuto l’inadeguatezza dell’idea stessa di ‘mercato’. I mercati (al plurale), che non costituisono in alcun modo una realtà uniforme, extraterritoriale o extrastorica, sono legati biunivocamente alla storia materiale e delle idee. I sistemi di credito, funzionali e necessari all’esistenza stessa dei mercati, legano la legittimità e l’autorità dei governi all’ordine mantenuto nei mercati.
Jerome Macourant ha invece ribaltato la prospettiva in chiave epistemologica: come ha influenzato il mercato le idee sulla divisione dei beni? Contemporaneamente al monito dell’economista statunitense J. Stiglitz sui limiti della disciplina economica e l’inquadramento nel campo empirico delle scienze sociali, parte degli economisti degli anni ‘70 e ‘80 ha voluto giustificare l’inegalitarismo nella distribuzione delle risorse con ragioni di mercato ‘naturali’, riconoscendo uno statuto ‘fisiologico’ a un’ortodossia di mercato non istituzionalizzato, non ‘embedded’. Da qui la necessità di riconsiderare il mercato, come fenomeno, dentro e fuori il capitalismo.
Olivier Feiertag ha infine tracciato una rapida sintesi della fabbricazione e dell’evoluzione dell’idea di mercato in età moderna e contemporanea e di come essa sia stata ripensata nel tempo in relazione agli eventi. [G.C.]

La prima sessione, intitolata “Du territoire au marché”, è stata dedicata alla definizione delle strutture relative agli scambi che hanno preceduto cronologicamente l’organizzazione dei luoghi di mercato (J. Zurbach), o che esistevano parallelamente ad essi al di fuori degli spazi istituzionali (M. Brunet), o che configuravano il territorio urbano ed extraurbano in funzione o in relazione ad essi (P. Karvonis – J.-J. Malmary, C. Bouras, Ch. Blein).

Michèle Brunet (Les ventes (gros et détail) sur les lieux de production) si è concentrata sugli scambi che avvenivano fuori dal quadro degli spazi delimitati dell’agora e dell’emporio, nel contesto della città, del porto o dei demi, e che si svolgevano invece in aperta campagna, direttamente sui luoghi di produzione, domandandosi se ed in che modo la polis controllasse queste vendite. Per fare ciò si è servita di due esempi tratti rispettivamente dalla realtà di Taso e di Delo.
Per quanto riguarda Taso B. ha richiamato due celebri iscrizioni, databili tra il 430 ed il 420 circa: il cosiddetto “regolamento dei karpologoi” (IG XII suppl. 349; F. Salviat, EtClass, 3, 1968-1970, 237-247), dal quale emerge – malgrado lo stato frammentario del testo – che le responsabilità dei karpologoi non dovevano riguardare soltanto la riscossione della parte del raccolto agricolo spettante alla città (da identificare soprattutto con il prodotto delle vigne, data la prevalenza di questa coltura a Taso), ma anche la compravendita e il trasporto del prodotto, con il relativo controllo fiscale; la II “legge sul commercio del vino” (IG XII suppl. 347), in cui si prevedeva che prima di giugno/luglio la raccolta dell’uva non potesse essere venduta all’ingrosso e che la vendita del vino potesse considerarsi regolarmente avvenuta solo quando i pithoi erano stati opportunamente timbrati.
Riprendendo alcune osservazioni fatte a suo tempo da J. Pouilloux (Recherches sur l’histoire et les cultes de Thasos, I, Études thasiennes 3, Paris 1954, 129-131), B. ritiene che le misure previste dalle legge sul vino non siano da interpretare soltanto alla luce della volontà della polis di fare da arbitro nelle contese tra privati e di tutelare gli interessi del produttore (difeso da speculazioni o frodi), ma anche alla luce dell’interesse fiscale della polis nel suo ruolo di percettore di imposte. Dal momento, infatti, che la città doveva prelevare delle imposte sia sul raccolto che sulla vendita dei prodotti viticoli, era di fondamentale importanza che entrambi i momenti venissero strettamente controllati ed è altamente probabile che fossero proprio i karpologoi a svolgere un ruolo di primo piano in entrambe le occasioni, occupandosi sia della stima del raccolto che delle quantità di vino vendute con le relative imposte. L’osservazione di Erodoto (VI, 46), secondo cui Taso, all’epoca delle guerre persiane, non riscuoteva imposte sul raccolto grazie ai proventi assicurati alle casse pubbliche dalle miniere, suggerisce che l’introduzione di un’imposta sul karpos e la definizione del ruolo dei karpologoi sia da datare successivamente allo scontro con Atene (465-463 a.C.) ed alla perdita delle miniere sulla terraferma: la rigidità dei controlli sulle vendite legate al luogo di produzone del vino, che si riscontra nella legge, sarebbe dunque la conseguenza della situazione geo-politica e militare dell’isola in quel particolare momento storico.
Per quanto riguarda Delo, B. ha fatto riferimento ai resti di una fattoria isolata nella campagna dell’isola, presso la quale dovevano avvenire transazioni e scambi: oltre a monete, infatti, sono stati rinvenuti frammenti ossei animali, che fanno pensare più a tagli di macelleria che a residui alimentari, ed un mulino di dimensioni tali da presuppore una produzione molto più elevata di quella necessaria al consumo degli abitanti della fattoria. Questi elementi indicano che presso la fattoria dovevano avvenire vendite direttamente sul luogo di produzione, ma non consentono purtroppo di stabilire se tali vendite fossero in qualche modo controllate dalla città.
Questi due esempi, diversi per tipologia e provenienza, dimostrano chiaramente che non tutti i prodotti oggetto di compravendita potevano o dovevano transitare sui luoghi istituzionalmente consacrati allo scopo ed invitano a domandarsi se ed in che modo tali compravendite fossero regolamentate dalla città. [C.C.]

L’intervento di Pavlos Karvonis e Jean-Jacques Malmary (Du quartier à l’agora: étude de cas dans le Quartier du théatre à Délos) ha aggiunto importanti novità a quanto già noto sulla topografia delia e, allo stesso tempo, ha offerto una nuova interpretazione sull’organicità degli spazi commerciali nel quartiere del teatro. Delo è indubbiamente un sito commerciale di grande importanza, sia per il numero, sia per la diversità delle installazioni, sparse per tutta l’isola. La caratteristica del quartiere del teatro risiede nella disposizione delle tipologie edilizie: le dimensioni ridotte, il numero e la posizione (all’interno del circuito di abitazioni) delle installazioni nella parte alta lasciano pensare che esse servissero soprattutto all’approvvigionamento quotidiano. Qui le tracce di produzione di alimenti indicano in maniera piuttosto chiara come produzione finale e vendita condividessero gli stessi spazi. Al contrario, nella parte bassa, prossima alla costa, i locali commerciali occupano talvolta interi isolati e costituiscono un fronte pressoché ininterrotto a partire dal quartiere situato a sud del muro di Triario. Questi edifici ‘polivalenti’ (e sui modi della polivalenza si è concentrata larga parte di questo contributo e della discussione successiva) non ospitavano solo produttori e commercianti, ma anche professionisti di ogni genere, e accoglievano transiti e immagazzinamento per la redistribuzione (probabilmente anche del surplus).
La pressione esercitata in tutta l’isola, e specialmente in questo quartiere, dallo sviluppo del commercio e dal bisogno di creare nuovi spazi commerciali è manifesta non solo nel numero delle installazioni stesse, ma anche dai rimaneggiamenti architettonici che hanno lo scopo di creare locali di vendita supplementari : parti di abitazioni sono trasformate in ‘pièces polyvalentes’, e in alcuni casi, nuovi ambienti sono addossati alle facciate delle abitazioni. [G.C.]

La seconda sessione, dedicata a “L’agora commerciale”, è stata caratterizzata da due serie di interventi: nella prima sono stati presentati vari casi casi di studio, con la documentazione archeologica relativa ad agorai di epoca arcaica, classica o ellenistica dalla Grecia propria (Andros, Messene, Pella, Elea di Tesprozia) e dalla Sicilia (Naxos, Segesta); la seconda, invece, è stata dedicata alle derivazioni periferiche e agli sviluppi cronologici dell’agora commerciale, con una panoramica che ha spaziato dalle agorai dei demi attici ad agorai e macella di epoca romana (Iasos, Atene, Taso, Sagalassos, Egitto romano).

La descrizione degli scavi archeologici ha messo in rilievo, di volta in volta e a seconda del sito e degli interessi degli archeologi, i punti sensibili della struttura e delle funzioni dell’agora: notevole attenzione è stata dedicata dai relatori al tema della viabilità, interna ed esterna, e delle relazioni che attraverso di essa lo spazio dell’agora intersecava con il resto del circuito urbano ed extra-urbano. Altro punto sensibile sono state le produzioni e la loro evoluzione lungo le fasi di vita delle agorai: in questo senso si è rivelato interessante il caso di Pella (Ioannis Akamantis, Το συγκρότημα της Αγοράς Πέλλας) con un complesso architettonico di notevoli dimensioni nel quale è stato possibile riconoscere gli spazi dedicati alla coroplastica, alla fabbricazione di unguenti e profumi, alla produzione e/o vendita di prodotti alimentari, lucerne, prodotti in piombo, al commercio e allo stoccaggio dei cereali e delle farine. Ancora Pella offre importanti informazioni circa il rapporto tra cariche pubbliche e agora: grazie a nuove iscrizioni è stato possibile individuare con buona probabilità la sede dei sei politarchi. Un altro intervento (Theodoros Kourempanas, Το νομισματοκοπείο της αγοράς της Πέλλας) ha successivamente mostrato i progressi degli studi sulla zecca della polis, tra i rari esempi finora scoperti e studiati.
L’agora di Segesta (Carmine Ampolo, L’agora de Segeste et ses transformations dans le cadre des agorai de Sicile) si è svelata nella sua importanza nelle nuove campagne di scavo della Scuola Normale Superiore, riprese nel 2002: da un punto di vista architettonico e dell’organizzazione dello spazio, pare non avere confronti in tutto l’occidente greco per magnificenza e monumentalità. D’altro canto, sul sito è ben leggibile il momento della ripianificazione edilizia in età repubblicana. Tra le scoperte più importanti, il ritrovamento dell’iscrizione posta all’inizio della strada monumentale che dall’agora giunge fino al teatro, con il nome di Onasus, personaggio già noto da Cicerone come benefattore della città. La trasformazione da agora in foro ha previsto, nell’esemplare caso segestano, una complessa riformulazione degli spazi, sul solco della continuità con la facies greca: per tutti, basti l’esempio dell’iscrizione posta sulla soglia del tempio degli dei forenses, evidente calco linguistico dei precedenti theoi agoraioi.
Quattro degli interventi (quello appena citato, Jean-Yves Marc, Le macellum de Thasos et les macella dans les provinces grecques de l’empire romain, Julian Richard – Marc Waelkens, Le macellum de Saglassos (Turquie): un marché ‘romain’ dans le montagnes du Taurus, Michel Cottier, Agorai, Macella and general stores of Roman Egypt through the papyrological documentation) hanno posto l’accento sull’edilizia e le funzioni del macellum: il caso di Thasos è apparso assai interessante per il doppio aspetto di piena conformità con il tipo del macelllum romano-imperiale e, allo stesso tempo, di incontestabile origine ellenistica. L’edificio che lo precedeva, infatti, è databile con assoluta certezza alla prima metà del III sec. a.C., grazie anche a più di 250 monete e bolli anforari, ossia di poco posteriore alla grande ripianificazione del sito databile all’ultimo terzo del IV sec. a.C. La vita di questo edificio mostra di non avere soluzione di continuità dall’età ellenistica fino al V sec. d.C.
In questo orizzonte, l’Egitto romano può vantare di aggiungere alla documentazione archeologica quella papiracea, grazie alla quale è possibile conoscere più approfonditamente che altrove l’organizzazione dei mercanti per la gestione degli spazi e delle attività. Il termine macellum compare sui papiri a partire dal III sec. d.C. e la sua presenza nei centri abitati lungo il Nilo è stata recentemente confermata da numerosi scavi. Anche in Egitto l’evidenza porta a supporre che il macellum fosse deputato alla vendita non soltanto delle carni, ma anche di altri beni alimentari, rimpiazzando con buona probabilità la funzione del pantopôlion. Contemporaneamente, i centri abitati paiono esser stati costellati di piccoli edifici commerciali. [G.C.]

Gli interventi della terza sessione, intitolata “Équipement et mobilier du commerce”, si sono articolati su tre temi fondamentali: gli edifici con funzione commerciale e di stoccaggio, anche al di fuori dello spazio della vera e propria agora, i pesi e le misure, con particolare attenzione ai sekomata, e l’uso della moneta, nei sui risvolti sia pratici che teorici.

Raymond Descat (A quoi ressemblait un marché aux esclaves?) si è interrogato sulla possibilità di identificare uno spazio di mercato specificamente destinato alla vendita degli schiavi nel mondo greco, tenendo conto dell’evoluzione storica del fenomeno della schiavitù.
Le fonti letterarie, perlopiù lessicografiche, suggeriscono che all’interno dell’agora ateniese fossero identificabili vari topoi distinti, ognuno destinato alla vendita di una particolare tipologia di prodotti o caratterizzato da una modalità specifica di presentazione e vendita dei prodotti, che dava il nome al topos stesso. È probabile che nel V secolo l’area destinata agli schiavi fosse distinguibile dalle altre solo in base al nome del prodotto venduto e non fosse contraddistinta da una particolare struttura achitettonica. A partire dal IV secolo, invece, le stesse fonti collegano chiaramente la vendita degli schiavi ad un luogo chiamato kyklos, che doveva prendere il nome dalle particolari modalità di vendita, ovvero dal fatto che i clienti erano soliti formare un cerchio attorno alla merce ed al suo venditore. La vendita in kukloi sembra ben corrispondere ad alcune necessità specifiche del commercio degli schiavi, ovvero creare uno spazio particolarmente adatto all’esposizione della merce e dare luogo ad un’asta pubblica, con il banditore al centro, in modo da fornire all’acquirente le opportune garanzie in merito alla qualità della merce ed alla possibilità di sporgere reclamo. Non è un caso che questa modalità arrivi a caratterizzare la vendita degli schiavi proprio nel momento in cui il commercio degli schiavi si diffonde maggiormente ad Atene e nel resto mondo greco ed in cui, di conseguenza, sembrano affermarsi anche delle norme giuridiche specifiche che ne regolamentavano il funzionamento.
Solo a partire dalla tarda età ellenistica, tuttavia, sembra che il mercato degli schiavi possa essere collegato ad una specifica struttura. In sei iscrizioni provenienti dall’Asia Minore occidentale, databili tra l’inizio del I secolo a.C. e il II d.C., è attestato il termine statarion, che nel testo proveniente da Thyatiria (IGR IV 1257; OGIS 524) indica il luogo in cui operavano i proxenetai degli schiavi, ovvero gli intermediari che trattavano questo tipo di questa merce. Anche se non è affatto certo che presso lo statarion avvenissero esclusivamente vendite di schiavi, il termine appartiene alla stessa famiglia del verbo isthemi e rimanda al fatto che quel luogo del mercato era caratterizzato dalla presenza di uomini in piedi, in contrasto con le skenai e le klinai degli altri topoi di vendita; il termine si sarebbe affermato, grazie all’uso nella lingua parlata, nell’Asia Minore di epoca romana, dove il commercio degli schiavi era divenuto un fenomeno importante e sempre meglio definito dal punto di vista giuridico. Sulla base delle notizie fornite dalle iscrizioni D. ipotizza che lo statarion indicasse un’area delimitata, all’interno della quale si trovava un podio destinato allo svolgimento dell’asta pubblica: un esempio concreto potrebbe essere individuato nella sezione sud-occidentale dell’agora di Magnesia al Meandro a partire dal I secolo a.C., dalla quale proviene sia un horos dello statarion (I.Magnesia 240) che altre tracce della vendita di schiavi e dello svolgimento di aste pubbliche.
Sulla base di questi elementi D. rifiuta i criteri elaborati in precedenza nel dibattito storiografico sull’aspetto dei mercati di schiavi in generale ed in particolare sull’agora degli Italiani a Delo come esempio concreto di tale realtà; D. ipotizza che l’elemento centrale di un mercato di schiavi sia da individuare nel podio per l’esposizione e la vendita all’asta della merce e, pur avanzando l’ipotesi che il noto passo di Strabone (XIV, 5, 2) su Delo non facesse riferimento alla vendita reale in loco di ca. 10.000 schiavi al giorno, ma piuttosto ad operazioni finanziarie o di intermediazione riguardanti il commercio di schiavi, sembra accettare l’identificazione dei cosiddetti “propilei dell’agora” con un chalcidicum, ovvero una piattaforma sopraelevata destinata ad operazioni di vendita all’asta, in particolare degli schiavi (cfr. F. Coarelli, L’«Agora des Italiens»: lo statarion di Delo?, JRA, 18, 2005, 196-212). [C.C.]

I due interventi rispettivamente di Jean-Charles Moretti, Myriam Fincker, Véronique Chankowski (Un édifice commercial de l’Agora de Théophrastos à Délos) e di Claire Hasenohr (Ariarathès épimélète de l’emporion et les magasins du front de mer à Délos), benché concepiti indipendemente l’uno dall’altro, hanno finito per illustrare due situazioni strettamente complementari e per contribuire entrambi ad una migliore definizione dell’assetto ‘commerciale’ dell’isola di Delo sotto la seconda dominazione ateniese.
Il primo intervento ha preso avvio dall’analisi dei resti di una struttura circolare presente nell’area più occidentale della cosiddetta “agora di Teofrasto” a Delo, parzialmente sommersa dalle acque del mare e sino ad ora variamente interpretata. Una più attenta osservazione di tali resti ha permesso di stabilire che si trattava di una struttura composta da due cerchi in muratura concentrici, dal diametro rispettivamente di 19,30 m e di 10,75 m. Al cerchio più esterno è riconducibile una dedica di un agoranomo del I secolo a.C., Socrate figlio di Socrate, del demo di Cefiso, agli dei Apollo e Hermes (I.Délos 1835): la dedica era incisa su due blocchi di marmo separati, che dovevano essere collocati alle estremità superiori dei due bordi di un’apertura; ciò suggerisce che il cerchio più esterno si presentasse come un muretto senza copertura e che delimitasse uno spazio all’aria aperta compreso tra i due cerchi.
L’interpretazione proposta è quella di un kyklos, ovvero una struttura architettonica che delimitava lo spazio circolare all’interno del quale avveniva una certa categoria di vendite, come gli analoghi spazi attestati ad Atene grazie alle fonti lessicografiche. L’ipotesi degli autori è che tali spazi non fossero caratterizzati dal genere di prodotto in vendita (interiora, pesce, schiavi o altro), ma piuttosto da una particolare tipologia di vendita, quella all’asta, la cui pratica doveva essere più diffusa di quanto non si sia generalmente portati a credere per il mondo greco.
Gli autori suggeriscono inoltre che sull’agora di Teofrasto le vendite all’interno del kyklos avvenissero anche senza la presenza fisica del prodotto o in presenza soltanto di un suo campione (deigma) e che l’area in cui avveniva la misurazione e lo stoccaggio del prodotto fosse distinta da quella in cui avveniva la vera e propria trattativa commerciale.
Nel secondo intervento H. si è occupata dei magazzini α, β e γ scoperti nel 1903 sulla cosiddetta “rue du Front de mer” a Delo (BCH 1905, 6-21). Tutti e tre sono caratterizzati da una pianta analoga: una serie di vani disposti intorno ad una corte a peristilio, che comunica con la strada attraverso un vestibolo; i vani occidentali, che non si aprono sulla corte, ma direttamente sulla grande strada lungo mare, sono identificabili con delle boutiques. In particolare i magazzini β e γ sono quasi identici e presentano non solo la stessa pianta e le stesse dimensioni, ma anche elementi architettonici analoghi, come le colonne innalzate su cubi marmorei e le doppie soglie in marmo all’entrata dei vestiboli e delle boutiques.
In ognuno dei tre magazzini è stato rinvenuto un sekoma che riporta la medesima iscrizione, una dedica di Ariarates, epimeletes dell’emporion (I.Délos 1827 nel magazzino α; I.Délos 1828 nel vano 5 del magazzino β; un nuovo esemplare rinvenuto nel 2006 da M.P. Hadjidakis in un vano a sud del peristilio del magazzino γ). Una quarta dedica di Ariarates (I.Délos 1829) era incisa su un sekoma rinvenuto in reimpiego in un acquedotto a sud del santuario di Apollo; un quinto sekoma, identico a quello scoperto nel 2006, rinvenuto ai margini dell’isolato XII sulla “rue du Front de mer”, riportava una dedica del proconsole Giulio Cesare (I.Délos 1847).
In base a questi elementi H. ipotizza che non si tratti di magazzini privati, ma di edifici pubblici costruiti dall’amministrazione ateniese, all’epoca in cui Ariarates era epimeletes dell’emporion (probabilmente la fine del II o l’inizio del I secolo a.C.), e che tali edifici abbiano ospitato gli uffici dell’emporion, dove, tra l’altro, sarebbe stato assicurato il controllo dei pesi e delle misure.
Come si vede i due interventi delineano due zone distinte: da una parte l’agora di Teofrasto (GD 49), dove risulta, tra l’altro, un’alta concentrazione di dediche di agoranomi, e dell’altra l’area a sud della cosiddetta “agora dei “Competaliasti” (GD 2), dove risulta invece attivo lo epimeletes dell’emporion e dove aveva probabilmente luogo lo stoccaggio delle merci e la loro misurazione. Ciò sembra indicare che durante la seconda dominazione ateniese queste due aree, rispettivamente a nord ed a sud del “porto sacro”, costituissero il principale scenario delle attività commerciali dell’isola, mentre la cosiddetta “agora dei Deli” (GD 84) restava ormai il centro delle attività politiche ed istituzionali; le tracce lasciate dall’attività dei due magistrati nelle due diverse aree sembra inoltre riprodurre in concreto la distinzione tra le sfere di competenza delle due cariche ben delineata da Aristotele per Atene (Ath. Pol. 51), dove, nel caso di Delo, l’agora di Teofrasto potrebbe essere identificata con l’agora commerciale vera e propria e la zona a sud dell’agora dei Competaliasti con l’emporion. [C.C.]

L’intervento di Gerald Finkielsztejn (Instruments inscrits, boutiques, agora et cités au Levant sud hellénistique) ha informato sulle strutture e gli studi delle agorai levantine : gli instrumenta iscritti che ne provengono sono databili esclusivamente al II sec. a.C.. Si tratta per lo più di pesi, bolli anforari e sekomata, che danno notizie sulla cronologia, l’onomastica degli agoranomi (per lo più greca, raramente locale ellenizzata), la metrologia (su piede orientale) e talora sui loro luoghi d’origine. La metrologia in particolare mostra come gli agenti di commercio fossero più probabilmente locali, ma allo stesso tempo, l’impiego del greco come lingua principale e la datazione per ere fenice o seleucidi mostrano una presenza relativa ma reale del potere seleucidico sui mercati levantini. Il caso di Maresha costituisce uno dei più significativi in questo orizzonte, con le sue attività produttive (principalmente oleifici, tra i più complessi del mondo ellenistico) e una fitta rete di edifici commerciali. Contemporaneamente, le numerose testimonianze agoranomiche indicano una organizzazione centralizzata dal punto di vista amministrativo. [G.C.]

Giovanni Geraci (Deigmata e sekomata nei papiri come strumenti di controllo delle derrate fiscali e commerciali) ha puntato sulla natura delle misurazioni, soprattutto – ma non solo – attraverso le fonti papiracee. Uno dei problemi più noti nella letteratura dedicata riguarda l’oggetto delle misurazioni in ambito commerciale e fiscale: il controllo era rivolto al peso o alla capacità in volume? Attraversando diacronicamente e tematicamente le fonti letterarie e documentarie del mondo greco-romano, con particolare attenzione all’Egitto, Geraci ha mostrato una realtà complessa e non uniforme, ribadendo l’inopportunità della vulgata che vuole rintracciare nel mondo antico misure rivolte esclusivamente alla capacità. Ha inoltre evidenziato come, nelle misurazioni, fosse di primaria importanza anche la valutazione della qualità dei prodotti, da ottenere per esempio, con il rapporto capacità/peso. [G.C.]

Alain Bresson (Usages monétaires sur l’agora), partendo dal presupposto che l’uso della moneta coniata fu un’innovazione fondamentale per le pratiche commerciali delle poleis greche e che l’agora era il luogo per eccellenza dello scambio monetario, si è interrogato sul ruolo che l’agora e l’emporion avrebbero avuto nell’origine della moneta secondo i pensatori di IV secolo, come Platone e Aristotele.
Nella Repubblica (II, 371b-d) Platone delinea un legame diretto tra la moneta e l’agora: dato che lo scambio all’interno della comunità è reso necessario dalla divisione del lavoro, da qui nasce l’esigenza di individuare un apposito spazio per gli scambi – l’agora – ed uno strumento per determinare il valore degli scambi – la moneta; allo stesso modo il ruolo dei kapeloi – contrapposti agli emporoi che si occupano del commercio esterno – risulta altrettanto indispensabile per operare da intermediari negli scambi, senza costringere i lavoratori e gli artigiani ad abbandonare le rispettive professioni. Nelle Leggi (V, 742a-c) si distingue inoltre tra una moneta destinata agli scambi giornalieri, che abbia valore solo all’interno della città, ed una moneta comune a tutta la Grecia, necessaria per i rapporti con l’esterno, che spetterà alla città stessa procurarsi e fornire ai propri cittadini, solo quando costretti a recarsi all’estero. Secondo B. il ragionamento di Platone si basa su presupposti esclusivamente strutturali, non storici, e vede la moneta come una convenzione necessaria per gli scambi.
Nella Politica (I, 1256b-1257b) Aristotele spiega come lo scambio avente per oggetto i beni necessari alla soddisfazione dei bisogni umani sia un fenomeno perfettamente naturale e come la moneta sia nata inizialmente per assicurare l’equità negli scambi, soprattutto perché la necessità di importare i beni di cui si è privi ed esportare quelli di cui si è ricchi si scontrava con la difficoltà di trasportare le derrate indispensabili per natura; in principio sarebbe stato scelto un materiale dal valore intrinseco, come il ferro o l’argento, di cui sarebbero stati fissati il peso e le dimensioni, e solo in seguito, per evitare le continue operazioni di misurazione, lo si sarebbe marcato con una particolare impronta, segno del suo valore. Tuttavia la moneta, nata ‘naturalmente’ per facilitare gli scambi indispensabili, è divenuta una pura convenzione e ha dato in seguito luogo al commercio di intermediari (to kapelikon) e alla cattiva crematistica, che ha per oggetto la moneta stessa e per fine l’accumulo di ricchezza in forma monetaria (che non può costituire una vera ricchezza datosi il valore puramente convenzionale della moneta, come simbolicamente indica il mito del re Mida). Secondo B. il ragionamento di Aristotele delinea un vero e proprio processo storico, passando dal ferro (il cui uso si era ‘attardato’ a Sparta) all’argento ed alla moneta coniata, la cui origine avrebbe forse individuato nel contesto dell’emporio di Egina (a cui Aristotele aveva dedicato una delle sue costituzioni).
Secondo B., infine, il pensiero di Aristotele, che concepisce la moneta come una convenzione artificiale, nata non nel contesto dell’agora, ma in quello dell’emporion, si contrappone a quello di Platone ed entra esplicitamente in polemica con esso; è probabile che la diversa visione che le due scuole, quella aristotelica e quella platonica, offrono del fenomeno della moneta e del suo rapporto con gli scambi e con l’agora possa essere inquadrato all’interno del dibattito filosofico che opponeva le due scuole in merito al ruolo della physis nelle relazioni umane. [C.C.]

Nelle Conclusions et perspectives V. Chankowski e R. Descat, hanno sottolineato come la documentazione archeologica sia indispensabile per comprendere l’organizzazione dello spazio: nonostante la difficoltà che permane nel percepire le evoluzioni e le transizioni dell’agora, l’idea è quella di un luogo che progressivamente si chiude, dotandosi di strutture e strumenti da mobili a fissi. Oltre a ciò, tra i punti nodali emersi durante i lavori, hanno assunto una particolare rilevanza il problema dell’accessibilità e della razionalità economica dello spazio, della coesistenza di edifici con funzione commerciale e amministrativa, e dei modi in cui erano regolamentati e delimitati i diversi spazi commerciali (e.g. per la vendita all’ingosso, la vendita al dettaglio o la vendita all’asta, aree dedicate alle singole merci).
Per il futuro, i due relatori hanno prospettato la realizzazione di una banca dati sugli elementi chiave del mercato, che consenta di arrivare ad un quadro geografico il più possibile esautivo, di intraprendere studi comparativi e di epigrafia spaziale, e di affrontare, tra gli altri, il problema dello stoccaggio e del suo rapporto con la produzione. Occorre inoltre interrogarsi sul significato del termine agora e sull’ampiezza con la quale può essere utilizzato; sull’identificazione degli spazi di scambio non istituzionali (chiedendosi se la città tollerasse oppure incoraggiasse le pratiche commerciali al di fuori dei luoghi formalmente preposti); su quale fosse il rapporto dell’agora con l’emporion; sulle forme di tassazione e di controllo dei diversi tipi di scambio e di vendita.

A questi temi saranno probabilmente dedicati i prossimi colloqui organizzati dal gruppo di ricerca “Les marchés dans le monde antique: espaces, pratiques, institutions”, in programma a Liverpool, Toronto e Parma, nel corso del 2010 e del 2011.

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